Le App di parental control sono a tutti gli effetti uno strumento di indubbia utilità perché agevolano l’attività di vigilanza dei genitori sui figli durante l’utilizzo degli strumenti tecnologici senza limitarli (seppur apparentemente) del tutto. Quali sono i confini di libertà del parental control? Registrare le telefonate dei figli rientra nel dovere di vigilanza?

Può un genitore essere condannato per aver violato il diritto alla riservatezza del figlio? Questo interrogativo mi viene posto molto più frequentemente di quanto avrei potuto immaginare già solo qualche anno fa, dato l’avvento sempre più incalzante della tecnologia.

L’età media di utilizzo dei telefoni, del computer e della rete web in generale, infatti, si è abbassata ulteriormente.
C’è da dire anche che gli stessi bambini imparano ad utilizzarli molto velocemente, a conferma di una sorta di “predisposizione generazionale”.

Il cosiddetto parental control, non molto tempo fa veniva prettamente utilizzato per bloccare alcuni canali televisivi, poi si è esteso ai computer e ora se ne dispone ad ampio spettro.

Le App di “family tracking” consentono la geolocalizzazione della navigazione in rete e non solo su strada. Sono strumenti molto utili ai genitori perché permettono loro di vigilare sull‘utilizzo dei dispositivi tecnologici da parte dei figli attraverso un controllo qualitativo e quantitativo che consente di monitorare le attività online, per esempio leggere i messaggi whatsapp o ascoltare le conversazioni telefoniche, come anche di bloccare l’accesso ad applicazioni e contenuti ritenuti diseducativi o inadeguati in relazione all’età del minore.

Molte di queste applicazioni, infatti, consentono di controllare chat di whatsapp, foto o video, ad esempio, ma anche di geolocalizzare oppure registrare intere conversazioni telefoniche.

Torniamo alla questione iniziale: esiste un confine di liceità nell’utilizzo di queste App da parte dei genitori? Se sì, quale?

La risposta che ho dato a chi si è rivolto al mio Studio è stata: sì!

Ci sono dei limiti per i genitori ed è fondamentale capire dove si collocano per non esasperare il dovere di vigilanza e quindi violare il diritto fondamentale alla riservatezza del minore, perché oltrepassarli non significa soltanto perdere la fiducia (e forse la stima) da parte dei propri figli, ma anche incorrere nella responsabilità penale derivante da illecita captazione delle comunicazioni telefoniche.

La Suprema Corte in una sentenza del 2014 e precisamente la n. 41192/2014, si è pronunciata in tema di illecita captazione delle comunicazioni telefoniche chiarendo che “il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore, non giustifica indiscriminatamente qualsiasi, altrimenti illecita, intrusione nella sfera di riservatezza del figlio stesso ma, soltanto, quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità“, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e, comunque, nell’ottica della tutela dell’interesse preminente del minore e non dell’interesse del genitore”.

Leggi il caso

La suddetta pronuncia si riferisce al caso di un padre affidatario dei figli minori (evidentemente in conflitto
con la madre dei suoi figli), che è stato condannato ai sensi dell’Art. 617 Codice Penale in primo
grado e poi in Appello dalla Corte d’Appello di Ancona per aver registrato le telefonate tra i figli e la madre.

Il padre ha presentato ricorso in Cassazione, rivendicando l’esercizio della potestà genitoriale e dei connessi doveri di vigilanza, ragion per cui non era ammissibile per lui considerare riservate le comunicazioni telefoniche
dei figli minori.

Tra le altre cose, lamentava anche il mancato riconoscimento, da parte del giudice di primo grado, della
scriminante prevista dall’Art.51 Cod. Penale, dato che aveva agito per esercitare il diritto/dovere – proprio di ogni genitore – di controllare le comunicazioni effettuate e/o ricevute dai figli minori, a maggior ragione perché molto preoccupato dall’influenza negativa esercitata su di loro dalla madre.

Il ricorso è stato integralmente rigettato dalla Corte di Cassazione.

Approfondisci

Con riferimento al caso esaminato, gli Ermellini, hanno chiarito che ai fini dell’applicazione della causa di giustificazione invocata, è necessario che la condotta penalmente rilevante sotto il profilo formale, sia stata effettivamente attuata per il legittimo esercizio di un diritto o per il legittimo adempimento di un dovere da parte dell’agente e sia dunque estrinsecazione delle facoltà inerenti alla situazione soggettiva che viene in considerazione. Il fatto penalmente rilevante sotto il profilo formale, dunque, deve essere giustificato dal legittimo esercizio di un diritto o dal legittimo adempimento di un dovere da parte dell’agente” (Cass., Sez. VI, Sent. n. 14540/2011 del 2 dicembre 2010).

In sostanza la scriminante di cui all’art. 51 c.p. può venire in considerazione unicamente nelle ipotesi in cui ci sia stata l’effettiva necessità di adempiere un dovere o di esercitare un diritto. Nel caso in esame la Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso non essendo stata ravvisata neppure la scriminante invocata, perché dall’esame del caso era emerso con chiarezza che la registrazione delle conversazioni telefoniche dei figli con la madre non erano dettate da alcuna necessità: la condotta del padre aveva illegittimamente oltrepassato i limiti relativi alla situazione soggettiva invocata a giustificazione della propria condotta.

Al fine di spiegare il senso e i confini del potere di vigilanza che incombe sul genitore nei confronti del minore, soggetto “altro” e titolare di un autonomo diritto alla riservatezza così come stabilito espressamente dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, la Suprema Corte specifica che nel caso in esame non è in discussione l’astratta configurabilità di un diritto/dovere dei genitori di vigilanza sulle conversazioni dei figli per finalità educative e di protezione della prole, quanto piuttosto “la funzionalità dell’interferenza nella riservatezza dello stesso minore al perseguimento delle finalità per cui il potere è conferito”.

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