Incorre nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. chi, con minacce gravi, costringe la moglie a sopportare che il tradimento si consumi all’interno della casa coniugale.

E’ quanto emerge dalla sentenza n.16543 del 03 Aprile 2017 con la quale la III Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna inflitta dalla Corte d’Appello territoriale al coniuge che aveva intrattenuto rapporti sessuali con la propria amante all’interno della casa coniugale, costringendo la moglie a sopportare tale stato di fatto con minacce gravi e cagionandole, con tale condotta di violenza e di sopraffazione sistematica, durevoli sofferenze fisiche e morali.

Nella sentenza in esame, dunque la Cassazione ha ribadito, che è proprio l’abitualità della condotta vessatoria, idonea a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali, a rendere perseguibili, riconducendoli alla fattispecie del reato di maltrattamenti, fatti commissivi e/o omissivi, come gli atti di infedeltà, di umiliazione generica, ovvero come percosse o minacce lievi, i quali singolarmente considerati potrebbero anche essere non punibili ovvero non perseguibili e procedibili solo a querela.

Sotto il profilo dell’affermabilità del reato di maltrattamenti la Suprema Corte ha ribadito la sufficienza delle dichiarazioni della persona offesa senza la necessità di riscontri estrinseci, purchè si sia effettuata una verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, più penetrante e più rigorosa di quella di regola effettuata per le dichiarazioni di qualsiasi testimone, verifica di cui è necessario dar conto in motivazione.

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